Dal 26 al 29 ottobre 2023 si è svolto il Meeting Associativo “Tuscia tra mistero magia e mostri”

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Scritto dai partecipanti al meeting sociale GEA del 2023

Giovedì 26 ottobre – L’arrivo nella Tuscia

Finalmente si parte! Pier inizia il viaggio da Verona e raggiunge Antonella a Mantova per proseguire insieme; Cristina e Luca partono da Torino e incontrano Mariangela ad Alessandria; per Francesco, Rebecca, Adele e il piccolo Amedeo il viaggio è più breve, arrivano da Sinalunga in provincia di Siena, mentre Susanne e suo figlio Rafael aspettano impazienti già a Bomarzo. E intanto la chat su whatsapp creata per il meeting sociale 2023 si riempie di domande: ”A che punto siete?”, “A che ora arrivate?”, “Noi siamo a metà strada… Voi dove siete?”

E poi l’incontro nell’agriturismo prescelto, il Poggio degli Ulivi, tra sorrisi, emozioni, aspettative. E la prima cena insieme in un localino di Bomarzo. Si mangia bene da queste parti! Il primo assaggio è stato ottimo.

Venerdì 27 ottobre – Viterbo e le terme romane

Il vento soffia tutta la notte a pieni polmoni e la mattina una pioggia incalzante ci fa dubitare di riuscire a goderci la giornata all’aperto. Che si fa? In un attimo cambiamo i programmi, invertendo il programma di venerdì con quello di sabato. Risolto. Andiamo oggi alle terme e a visitare Viterbo, dove vi è la possibilità di un tour nella città sotterranea, in modo da non stare troppo all’aperto e riscaldarci alle terme. Partiamo con costume e accappatoi al seguito, ma è bastata qualche telefonata durante il viaggio per comprendere che le agognate Terme dei Papi dispongono soltanto di vasche all’aperto. Pazienza. Rinunciamo al relax termale al caldo e ci dirigiamo verso Viterbo, che ci accoglie, fuori dalle mura, con la statua di un gigante che sprofonda nel terreno. Bel biglietto da visita!
La città è situata su di un’area in cui affiorano travertini circondati da depositi di colata piroclastica. La zona di Viterbo rientra in una vasta area che, dopo essere stata interessata dalle fasi di tettonica compressiva responsabile della strutturazione della catena e dell’impilamento delle principali unità tettoniche*, è stata coinvolta nella dinamica distensiva del Pliocene medio e nel sollevamento della Toscana meridionale e del Lazio settentrionale (Baldi et alii, 1974). L’assetto strutturale del substrato è legato in prevalenza alla tettonica compressiva tardo miocenica responsabile del sovrascorrimento (faglia compressiva) della Falda Toscana sulla Serie Umbro Marchigiana. Ne consegue che al di sotto dei Distretti Vulcanici Cimino e Vicano risulta un sistema a pieghe e faglie (Nappi et al.). Le fasi tettoniche successive, di natura distensiva, del Pliocene inferiore (tra 5,3 e 3,6 milioni di anni fa) hanno disarticolato le strutture precedenti in horst e graben (porzioni di crosta terrestre relativamente rialzata e abbassata a causa di un sistema di faglie dirette in regime tettonico distensivo). A partire dal Pleistocene inferiore (tra 2,5 e 1,8 milioni di anni fa) l’azione di tali faglie ha determinato condizioni favorevoli allo sviluppo di attività vulcanica lungo il margine tirrenico con l’attivazione di diversi centri e distretti vulcanici. Quest’ultime sono inoltre le vie preferenziali per la risalita delle acque calde, risultanti da una circolazione geotermale profonda o controllata dal vulcanismo.

*estratto da “I depositi carbonatici di travertino situati nella zona L’asinello (Viterbo)” di Sensi Stefano.

Questa conformazione geologica giustifica le nostre sensazioni. È proprio vero che in un luogo bisogna esserci nati per riuscire a non avere problemi! Noi “forestieri” fatichiamo un po’ a gestire sia la spinta compressiva presente in città, che si fa sentire sui nostri diaframmi e sui muscoli pettorali, sia la presenza delle faglie distensive che ci provocano reazioni come gambe molli e sensazione di sprofondamento. La somma delle due è uno stato inconsueto che si traduce in un malessere diffuso. Tuttavia non ci lasciamo demoralizzare e decidiamo di andare a percepire a qualche metro di profondità sotto la superficie del suolo. La nostra guida ci conduce anche nella sede dei Templari, ordine ancora attivo a Viterbo, con la sorpresa di noi tutti.

Qui il piccolo Amedeo muove i suoi primi passi in piena autonomia! Ad amplificare le nostre sensazioni va aggiunto anche il colore del materiale da costruzione, il tufo, di un ocra molto scuro. Siamo in presenza di un materiale che in prevalenza assorbe nel visibile e quindi è scarsamente riflettente e non dona luce all’ambiente, mentre riflette nell’infrarosso, regalando un po’ di calore a chi vi si accosta.

Pranzo delizioso in piazza della Morte (poniamo sempre una particolare attenzione alla toponomastica dei luoghi) e poi ci dirigiamo lungo la Cassia, dove ci sono i resti di una serie di terme di epoca romana. Ne vediamo una dalla strada, in mezzo ad un campo agricolo, dalla struttura ancora ben riconoscibile e decidiamo di fermarci. Mentre ci confrontiamo sulle sensazioni del luogo, molto diverse da quelle provate a Viterbo, dall’alto del suo trattore ci viene incontro il proprietario del terreno che stava lavorando la terra. Ci affrettiamo a scusarci per la nostra presenza nel terreno di sua proprietà quando lui, incuriosito dalle nostre bacchette da rabdomante, comprende che siamo lì per cercare l’acqua termale e si offre di condurci nei punti dove ha ingaggiato altri rabdomanti per individuare l’acqua termale, così si crea l’occasione per confrontare i dati da noi raccolti (profondità dell’acqua, temperatura, ecc.) con quella di altri colleghi che hanno indagato il luogo prima di noi. È entusiasmante incontrare perfetti sconosciuti che apprezzano il nostro lavoro, disponibili a interloquire, a scambiare informazioni e soprattutto di mentalità aperta. Questo meeting sociale promette incontri interessanti!

Torniamo molto soddisfatti a Bomarzo per una cena in un altro locale, questa volta nel centro storico della piccola cittadina.

Sabato 28 ottobre – La “piramide” e il Parco dei Mostri

Oggi il sole splende! La temperatura è eccezionale e assolutamente adatta ai nostri programmi. Stiamo per incontrare una guida locale che, gratuitamente, ci accompagna alla cosiddetta “piramide”. Si tratta di Salvatore Fosci, colui che si è occupato di ripulire il monumento dalle erbe infestanti e lo ha riportato alla luce. Ha anche scritto un libro, Vulcano Nascosto, edito dalla Stamperia del Valentino, e oggi è qui per noi. È il secondo personaggio interessante di cui ci fa dono questo meeting.

Ci accompagna in una escursione nel bosco, denominato anche “bosco sacro” per gli innumerevoli siti cultuali che racchiude, passando inizialmente per una “via cava”, cioè scavata a trincea, e non manca di illustrarci le diverse fasi di escavazione nelle varie epoche grazie all’esperienza maturata sotto la guida del padre scalpellino nell’osservazione della diversa lavorazione delle pietre.

Dopo quasi un’ora eccoci alla meta. La “piramide” è singolare, un manufatto davvero inconsueto che ci rendiamo subito conto essere situato in un luogo particolare dal punto di vista energetico.

In realtà si tratta di un masso ciclopico di Peperino, franato da monti un tempo più alti, nel quale alla base sono state scavate delle rientranze e sulla facciata sono stati intagliati scalini che permettono l’accesso alla sommità. Anche se il manufatto è comunemente denominato “piramide etrusca” è stato sicuramente utilizzato dai vari popoli che si sono succeduti nel territorio. Alcuni studiosi ipotizzano un utilizzo sacro già all’epoca della civiltà Rinaldoniana, (3.000 anni a. C.), per poi essere utilizzato anche in epoca etrusca, romana e medievale. Le nostre percezioni, suffragate da esperienze in altri luoghi con caratteristiche simili, propendono per questa ultima ipotesi. Pier ne è convinto per la sua conoscenza della religione neolitica della Grande Dea e per le percezioni e visioni avute sulla piccola terrazzatura sommitale. L’impressione di tutti è quindi che non si tratti di una realizzazione etrusca, bensì molto precedente e che sia stata dedicata alla dea Madre. Inoltre quanto da noi rilevato e percepito sulla sommità rende impossibile accettare l’idea che i celebranti si rivolgessero a nord-ovest e alle divinità degli inferi, come si legge nelle guide locali e su Internet.

Alla base non si sta benissimo poiché si avverte una leggera spinta compressiva, però sulla piccola area spianata alla sommità si percepisce un’emissione energetica molto piacevole e rara che fa sciogliere le tensioni diventando curativa e in una ristretta area circolare provoca persino l’impressione di sollevarsi.

Difficile staccarsi da questo luogo magico, ma… è quasi ora di pranzo e la fame inizia a farsi sentire.

Nel primissimo pomeriggio ci dirigiamo al Parco dei Mostri, conosciuto anche come Sacro Bosco, un grande giardino cinquecentesco ideato dall’architetto Pirro Ligorio (noi alla fine della visita abbiamo pensato che il progetto sia stato fatto su direttive impartite dalla moglie del Principe Orsini, Giulia Farnese poiché è evidente il riferimento ai temi dell’antica religione della Dea) e realizzato su commissione del Principe Pier Francesco Orsini. Due statue raffigurano lui e la moglie, rappresentati come coppia di piccoli orsi, in linea con il loro cognome. Altre statue rappresentano più in generale il Maschile e il Femminile. Come spesso accade il Femminile, cioè la Madre Terra, è rappresentato nelle tre forme della Dea: vergine, madre e anziana. In altre sculture il Maschile è rivolto al Femminile esplicitando che è la natura femminina che sta al comando per una legge naturale. Inoltre, vi sono riferimenti ai lutti causati dalle guerre con accenni contro la violenza. Messaggi decisamente contrari alle idee e alle convenzioni sociali dell’epoca, non per nulla dopo la morte del Principe Orsini il Bosco Sacro è stato abbandonato e si è cercato persino di cancellarlo. Per fortuna Goethe l’ha riscoperto.

Per tornare alle nostre percezioni geobiofisiche, l’esperienza che più ci colpisce avviene entrando nella casa pendente. Cosa volevano comunicare gli Orsini con l’eccentrica realizzazione di una casa pendente? La nostra ipotesi è che volessero evidenziare come le persone, in particolare quelle benestanti, si adattino alla stortura della società finendo per credere di essere dritti, quando invece vedono distorta la realtà. Forse la stortura riguarda anche il rapporto tra Maschile e Femminile dove il maschio vuole prevalere sulla femmina, cosa che non accade in natura, ad esempio proprio nelle coppie di orsi!

Mentre Pier e Francesco stanno utilizzando il pendolo dentro la grande stanza di accesso, Luca e Cristina li osservano con attenzione a poca distanza e si accorgono che il pendolo non cade sulla verticale, ma assume una posizione deviata di qualche centimetro. Avvisano subito Pier, Francesco e gli altri. La prima ipotesi è però che il fenomeno sia un effetto ottico, dovuto al fatto che il pavimento, le porte, le finestre e i muri della casa sono tutti inclinati. Ma c’è chi non è convinto e propone di andare all’esterno per verificare, così con grande sorpresa notiamo che in corrispondenza del muro di facciata dell’edificio il pendolo si inclina e più la corda che lo regge è lunga più è evidente il fenomeno. Le nostre percezioni corporee mettono in luce la presenza di una spinta orizzontale che inizia proprio in quel punto. Chi ha realizzato la casa pendente ha sfruttato la spinta geologica per amplificare la sensazione che la casa respinga chi vuole entrare e spinga verso l’esterno chi è dentro. Complimenti!

Nel punto dove proviamo a percepire la spinta è talmente forte da prevalere sulla forza di gravità e sposta lievemente il pendolo dall’asse verticale. Succede anche a noi ma non ce ne rendiamo conto perché correggiamo in automatico la nostra posizione. Siamo tutti attoniti e lo sono anche i passanti che ci vedono sperimentare la situazione. Tra questi si fa avanti un ascensorista, il terzo personaggio di cui ci fa dono il meeting, dicendo di essere abituato per lavoro a usare il filo a piombo in modo professionale e ci chiede di prestargli il pendolo perché vuole provare personalmente. Il risultato che ottiene è identico al nostro e questo ci conforta, poiché non c’era ancora mai successo di osservare una deviazione del pendolo rispetto alla verticale gravitazionale causata dalla forza orizzontale di una spinta geologica.

Non si finisce mai di imparare!

Un’altra sensazione interessante l’abbiamo provata entrando nella bocca del “mostro” scelto a icona del Parco. La grande bocca spalancata pare invitare a entrare invece si fa una certa fatica a salirvi e quando si è dentro si ha la netta sensazione di essere spinti fuori. Un leggero malessere allo stomaco fa associare a questa spinta i conati del vomito. Usciamo velocemente, prima che sia troppo tardi, però il messaggio implicito nell’uso dell’energia tettonica colpisce e ci lascia perplessi.

Dal punto di vista geomorfologico, l’area del Parco dei Mostri corrisponde a un vasto corpo di frana ormai stabilizzato. Dall’ammasso roccioso di ignimbrite (roccia compatta generata da un flusso piroclastico) sul quale sorge l’abitato di Bomarzo, si sono staccati i blocchi rocciosi utilizzati per scolpire i “mostri”. Analizzando un estratto della carta geologica d’Italia (Viterbo Foglio 345) è possibile notare come l’area in esame sia bordata da faglie dirette le quali potrebbero confermare l’ipotesi che abbiamo avanzato in corrispondenza della casa pendente, tramite la presenza di faglie minori, dette vicarianti, a esse collegate e non riportate sulla mappa.

Infatti Mattias (1966) segnala nell’area viterbese la presenza di un sistema di faglie individuate con metodi geofisici, riportate anche nella allegata cartografia, in corrispondenza dell’allineamento delle sorgenti termali e delle placche di travertino, la cui direzione è all’incirca N-S e che danno luogo a un rigetto complessivo, ottenuto sempre mediante metodi sismici, dell’ordine di 500-600 m. Anche la giornata di oggi volge al termine e decidiamo di acquistare un po’ di provviste in un piccolo supermercato di Bomarzo e di cucinare qualcosa nelle cucine dei nostri appartamentini per poi condividere tra tutti la cena nell’appartamento più grande. Una festa è proprio quello che ci vuole!

Domenica 29 ottobre – La città che muore e il rientro a casa

Preparati i bagagli ci spostiamo verso Civita di Bagnoregio. Edificata su un banco tufaceo sovrastante il basamento argilloso, il borgo è conosciuto come “La città che muore” proprio per i crolli causati dai lenti movimenti superficiali diffusi nella coltre d’alterazione delle argille sabbiose, poco consistente e satura d’acqua a seguito di precipitazioni intense e prolungate. Infatti, la mobilizzazione della parte alta dei versanti argillosi causa lo scalzamento alla base della rupe tufacea, con conseguente tendenza a crolli e ribaltamenti di porzioni della rupe stessa. Per raggiungerla attraversiamo a piedi il lungo ponte che la collega al versante opposto della vallata. Il panorama è davvero suggestivo! La città è molto turistica, piena di negozietti e localini. La attraversiamo da nord a sud e da est a ovest, facendoci largo tra la folla di visitatori, per valutare in ogni luogo le nostre sensazioni. Ci accomuna una decisa sensazione di instabilità e disequilibrio, accompagnata da giramenti di testa. Ai bordi dello sperone la sensazione si accentua sensibilmente rispetto al centro della conformazione geologica, ma ovunque sembra proprio di trovarsi a bordo di una nave in porto, che oscilla lentamente confermando ai passeggeri di non trovarsi sulla terra ferma. La sensazione è dovuta alla percezione sottile e quasi inconscia dello scivolamento degli strati geologici che stanno sotto i nostri piedi.

È mezzogiorno, il viaggio di ritorno è lungo e purtroppo non c’è tempo per un ultimo pranzo insieme. A malincuore, dopo lunghi abbracci di commiato, ognuno di noi riprende la strada del ritorno. Durante il viaggio di rientro la chat del meeting si riempie di fotografie dei giorni trascorsi insieme e di avvisi: “Noi siamo a metà strada… Voi dove siete?”